giovedì 28 gennaio 2016

L'uomo può salvare il mondo di José Mujica

Discorso tenuto alla sessantottesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York nel settembre 2013.

Cari amici,
sono un uomo del Sud, vengo dal Sud. Angolo tra l'Atlantico e il Plata. Il mio paese è una terra pianeggiante, dolce, temperata e ricca di bestiame, con una storia di porti, cuoio tasajo, lana e carne. Ci sono stati decenni sanguinosi, di lance e cavalli, fino a che, al volgere del ventesimo secolo, questo paese divenne avanguardia in campo sociale, nello stato e nell’instruzione. Si potrebbe dire che la socialdemocrazia sia stata inventata in Uruguay.
Per quasi 50 anni il mondo ci ha considerato una specie di ”Svizzera”, in realtà, in ambito economico, eravamo  figlii bastardi dell’impero britannico e quando quest’ultimo soccombè,  abbiamo dovuto sorbirne il fiele amaro sotto forma di funestri termini di scambio, rimanendo così staganti, agognando il passato: quasi quarant'anni trascorsi a ricordare il Maracanà, la nostra prodezza sportiva (la vittoria nella finale mondiale di calcio contro il Brasile nel 1950)
Se oggi siamo risorti in questo mondo globalizzato è forse grazie a quanto abbiamo imparato dal nostro dolore. La mia storia personale è quella di un ragazzo, perchè un tempo sono stato anch'io ragazzo, che come altri voleva cambiare la sua epoca, il suo mondo, per realizzare il sogno di una società libertaria e senza classi; i miei errori sono in parte figli del mio tempo. Ovviamente me ne assumo la responsabilità, ma ci sono volte in cui grido con nostalgia: "chi avrà oggi la forza di quando eravamo capaci di albergare in noi tanta utopia?".
Io, però, non mi guardo indietro perchè l'oggi reale è nato dalle ceneri fertili del nostro passato; al contrario, non vivo per riscuotere conti rimasti in sospeso o per rinverdire i miei ricordi. Mi angustia, e molto, l'avvenire che non vedrò e per il quale impegno tutto me stesso. Si, è possibile un mondo abitato da un'umanità migliore ma forse, oggi, il nostro primo compito è salvare la vita.

Ciò di cui mi faccio carico
Ma sono del Sud e, dal Sud, vengo in questa assemblea. Mi faccio carico senza riserve dei milioni di compatrioti poveri, nelle città, nelle lande, nelle selve, nella pampa, nelle miniere dell'America Latina, patria comune che si sta facendo.
Mi faccio carico delle culture originarie schiacciate, dei resti del colonialismo nelle isole Malvine, degli embarghi inutili a quel caimano sotto il sole dei Caraibi che si chiama Cuba. Mi faccio carico delle conseguenze della vigilanza elettronica, che non fa altro che seminare diffidenza, sfiducia che ci avvelena inutilmente. Mi faccio carico di un gigantesco debito sociale, della necessità di difendere l'Amazzonia, i mari, i nostri grandi fiumi d'America. Mi faccio carico del dovere di lottare per una patria per tutti e affinchè la Colombia possa trovare il cammino di pace.

La tolleranza è pace
E mi faccio carico del dovere di lottare per la tolleranza: la tolleranza è necessaria tra persone che sono diverse, con quelli con cui abbiamo differenze e discrepanze. Non c'è bisogno di tolleranza tra persone che sono d'accordo fra loro. La tolleranza è il fondamento per poter convivere in pace, accettando che nel mondo siamo differenti.
La battaglia va mossa contro l'economia sporca, il narcotraffico, la truffa, la frode e la corruzione, piaghe contemporanee, affiliate a quell'anti valore che sostiene che siamo più felici se ci arrichiamo, sia come sia. Abbiamo sacrificato gli antichi dei immateriali, ma occupiamo i loro templi con il dio mercato che governa l'economia, la politica, le abitudini, la vita e arriva persino a finanziare, con rate e carte di credito, la nostra apparente felicità.

Lo spreco di vita
Sembra che siamo nati solo per consumare e consumare ancora, e quando non possiamo farlo la frustrazione grava su di noi, insieme alla povertà, conducendoci fino all'auto-esclusione. La cosa certa, oggi, è che per consumare, e poi seppellire i detriti in quella che per la scienza si chiama "impronta di carbonio", se aspirassimo in questa umanità a consumare quanto un americano medio nella media, sarebbero imprescindibili tre pianeti per poter vivere.
La nostra civiltà ha lanciato una sfida bugiarda, insostenibile: per come vanno le cose, non è possibile per tutti colmare questo senso di spreco che è stato dato alla vita. Nei fatti, si sta massificando una cultura, nella nostra epoca, sempre rivolta alla accumulazione e al mercato. Promettiamo una vita di sperpero e spreco che in fondo costituisce un conto alla rovescia contro la natura e contro l'umanità come futuro. Civiltà contro semplicità, contro sobrietà, contro tutti i cicli naturali.

Un mondo contro la relazione
Ancora peggio, civiltà contro la libertà, che presuppone di avere tempo per vivere le relazioni umane, l'unica cosa trascendente: l'amore, l'amicizia, l'avventura, la solidarietà, la famiglia. Civiltà contro il tempo libero che non paga, che non si compra e che ci permette di contemplare e scrutare lo scenario della natura.
Radiamo al suolo le foreste, le foreste vere, e impiantiamo anonime selve di cemento. Affrontiamo la sedentarietà con i tapis roulant, l'insonnia con le pasticche e la solitudine con dispositivi elettronici. Ma siamo davvero felici isolati dal contesto umano? Dobbiamo porci questa domanda. Sconvolti, fuggiamo dalla nostra radice biologica che difende la vita per la vita stessa, come causa superiore e la soppiantiamo con il consumismo funzionale all'accumulazione.
La politica, l'eterna madre dell'accadere umano, è rimasta inceppata nell'economia e nel mercato; passo dopo passo la politica non può fare altro che perpetuarsi e in quanto tale ha delegato il potere e si dedica, stordita, a lottare soltanto per il governo. Deformata marcia della storiella umana! Comprando e vendendo tutto, e innovando per poter negoziare in qualche modo cio che è innegoziabile. C'è un marketing per tutto: per i cimiteri, i servizi funebri, le maternità; marketing per i padri, per le madrei, per i nonni e li zii, passando per le segretarie, le automobili e le vacanze. Tutto, proprio tutto, è commercio. Le campagne di marketing continuano ad indirizzarsi in modo deliberato ai bambini e alla loro psicologia, così da influenzare gli adulti e ottenere, per il futuro, un terreno fertile e assicurato. Sovrabbondano prove di queste tecnologia piuttosto abominevoli che, a volte, conducono a frustrazioni o anche peggio. Il piccolo uomo medio delle nostre grandi città deambula tra le finanziarie e il tedio routinario degli uffici, a volte climatizzati con l'aria condizionata. Sogna continuamente le vacanze e la libertà, sogna sempre di poter chiudere i conti in sospeso fino a quando, un giorno, il cuore gli si ferma e ... addio! Dopo di lui verrà un altro soldato a sfamare le fauci del mercato, assicurando l'accumulazione. La crisi è l'impotenza, l'impotenza della politica, incapace di intendere che l'umanità non può fuggire nè fuggirà dal sentimento di nazione, quel sentimento che è quasi incrostato nel nostro codice genetico: siamo sempre di un qualche luogo.

Un mondo senza frontiere
Ma oggi, oggi è tempo di cominciare la battaglia per preparare un mondo senza frontiere. L'economia globalizzata non ha più altra guida se non l'interesse privato di pochissimi, mentre ogni Stato nazionale guarda al permanere della propria stabilità. Oggi il grande compito per i nostri popoli, secondo il nostro umile modo di vedere, è il "tutto".
E, come se ciò fosse poco, il capitalismo produttivo, dichiaratamente produttivo, è mezzo prigioniero nella cassa delle grandi banche, che in fondo sono l'apice del potere mondiale. Detto più chiaramente: crediamo che il mondo richieda a gran voce regole globali che rispettino i risultati raggiunti dalla scienza che abbondano, ma non è la scienza che governa il mondo. C'è bisogno, per esempio, di una lunga lista di definizioni: "quante ore di lavoro su tutta la terra?". "Come far convergere le monete?". "Come si finanzia la lotta globaile per l'acqua e contro i deserti?". "Come si ricicla e come si fa pressione contro il riscaldamento globale?". "Quali sono i limiti di ogni granze azione umana?".

Solidarietà con gli oppressi
Sarebbe una necessità imperiosa ottenere consensi planetari per liberare solidarietà verso i più oppressi, imporre sanzioni contro lo spreco e la speculazione, mobilitare le grandi economie, non per creare scarti e rifiuti con obsolescenza calcolata, ma beni utili, senza frivolezze, per aiutare a sollevare i più poveri del mondo. Beni utili contro la povertà mondiale. Mille volte più redditizio del fare le guerre è rovesciare un neo-keynesianismo utile, su scala planetaria, per abolire le vergogne più flagranti che ha questo mondo.

La politica e la scienza
Forse il nostro mondo avrebbe bisogno di meno organismi mondiali, quelli che organizzano forum e conferenze, che servono molto alle catene alberghiere e alle compagnie aeree, anche se poi le idee, perfino nel migliore dei casi, nessuno le raccoglie e le trasforma in decisioni.
Abbiamo bisogno di masticare molto il vecchio e l'eterno della vita umana, insieme alla scienza, quella scienza che si impegna in favore dell'umanità e non per l'unico scopo di arricchirsi; con loro, con gli uomini di scienza per mano, primi consiglieri dell'umanità, dovremmo stabilire accordo per il mondo intero.
Nè i grandi Stati nazionali, nè le trasnazionali, nè tantomeno il sistema finanziario dovrebbe governare il mondo umano. Dovrebbe farlo invece l'alta politica intrecciata alla sapienza scientifica: lì sta la fonte. Quella scienza che non ambisce al lucro, ma che mira all'avvenire e ci dice cose a cui noi non prestiamo ascolto. Quanti anni sono trascorsi da quando ci dissero, a Kyoto, determinate cose di cui noi non ci siamo interessati? Credo che sia necessario convocare l'intelligenze affinchè si metta al comando della nave sulla terra; cose di questo genere e altre, che non posso sviluppare qui, ci sembrano imprescindibili, ma richiederebbero che l'umanità considerasse determinante la vita, non l'accumulazione di ricchezze.

Andare contro la specie
Ovviamente non siamo tanto illusi da non sapere che queste cose non passeranno, nè altri simili. Ci restano molti sacrifici inutili davanti a noi, dovremo rammendare molte conseguenze e non affrontare le cause. Oggi il mondo è incapace di regolamentare a livello planetario la globalizzazione e questo accade per via dell'indebolimento dell'alta politica, che si occupa del tutto.
Per un certo periodo ci rifugeremo dietro ad accordo più o meno regionali, che disegneranno un libero commercio interno bugiardo, ma che in fondo finiranno con il costruire parapetti protezionisti, supernazionali, in alcure regioni del pianeta. A loro volta, cresceranno rami industriali importanti e servizi, tutti dedicati a salvare e a migliorare l'ambiente: in questo mondo di consoleremo per un periodo, avremo qualcoda da fare e, naturalmente, continuerà imperterrita l'accumulazione delle ricchezze, con grande gioia del sistema finanziario.
Continueremo le guerre, e quindi i fanatismi, finchè un giorno, magari, sarà la stessa natura a richiamarci all'ordine rendendo invivibile la nostra civiltà. Forse la nostra visione è troppo cruda, impietosa: vediamo l'uomo come una creautura unica, l'unica sulla terra capace di agire contro la propria specie. Torno a ripeterlo: ciò che alcuni chiamano "la crisi ecologica del pianeta" è la conseguenza del trionfo schiacciante dell'ambizione umana. Questo è il nostro trionfo, ma anche la nostra sconfitta, perchè abbiamo l'impotenza politica di inquadrarci in una nuova epoca che pure abbiamo contribuito a costruire, eppure non ce ne rendiamo conto.
Perchè dico questo? Vi do alcuni dati, nulla di più. La cosa certa è che la popolazione si è quadruplicata e il Pil è cresciuto di almeno venti volte nell'ultimo secolo. Dal 1990, più  meno ogni sei anni, il valore del commercio mondiale raddoppia. Potremmo proseguire annotando dati che stabiliscono con chiarezza la marcia della globalizzazione.
Che ci sta succedendo?
Stiamo entrando in un'altra epoca in mondo accelerato, ma con politici, atteggiamenti culturali, partiti e perfino giovani, che sono tutti vecchi al cospetto della spaventosa accumulazione di cambiamenti che neppure riusciamo a registrare. Non riusciamo a gestire la globalizzazione perchè il nostro pensiero non è globale. Non sappiamo se sia un limite culturale o se stiamo toccando i nostri limiti biologici.

Gli effetti della cupidigia
La nostra epoca è portentosamente rivoluzionaria, la storia dell'umanità non ne ha mai conociuta una simile. Non ha però una guida consapevole, meno ancora una conduzione semplicemente instintiva. Tantomeno vi si riscontra una guida politica e organizzata, perchè non siamo riusciti neppure ad avere una filosofia precorritrice dinanzi alla velocità dei cambiamenti che si sono accumulati.
La cupidigia, tanto negativa quanto vero motore della storia, ha spinto verso il progresso materiale, tecnico e scientifico che ha creato la nostra epoca e il nostro tempo aprendo la via a un fenomenale avanzamento su molti fronti: paradossalmente, questo stesso strumento, la cupidigia, che ci ha spinto ad addomesticare la scienza e a trasformarla in tecnologia, ci precipita in un abisso brumoso, verso una storia che non conosciamo, verso un epoca senza storia. E stiamo rimanendo senza occhi e senza intelligenza collettiva, per continuare a colonizzare e a perpetuarci trasformandoci.

Cos'è il tutto?
Se questo ridicolo essere umana ha una sua caratteristica peculiare, è quella di essere un conquistatore antropologico. Sembra che le cose acquistino autonomia e che sottomettano gli uomini. Da un lato all'altro, sovrabbondado gli indizi per scorgere queste cose e, in ogni caso, per decifrare la rotta, ma ci risulta impossibile collettivizzare decisioni globali per quel "tutto" di cui parlavamo prima. Più chiaramente: la cupidigia individuale ha trionfato lungamente sulla cupidigia superiore della specie. Occorre spiegare: che cos'è il tutto, questa parole che utilizziamo?
Per noi è la vita globale del sistema terra che include la vita umana con tutti i fragili equilibri che rendono possibile il nostro perpetuarci nel tempo.
Per altro verso, un verso pià semplice, meno opinabile e più evidente, soprattutto nel nostro occidente (perchè da li veniamo, anche se veniamo dal Sud): le Repubbliche, che nacquero per affermare che gli uomini sono uguali, che nessuno vale più di un altro, che i loro governo dovrebbero rappresentare il bene comune, la giustiza e l'equità, molte volte si deformano e cadono nell'oblio della gente comune, quella che se ne va per le strade, il popolo.
Le repubbliche non sono state creare per vegetare alle spalle del gregge ma, al contrario, sono un grido nella storia per essere funzionali alla vita delle proprie genti e, pertanto, le Repubbliche devono votarsi alla maggioranza e devono lottare per la promozione della maggioranza.

La cultura consumista
Per varie ragioni, per reminiscenza feudali che sono presenti nella nostra cultura, per classismo dominante, o maari per la cultura consumista che circonda tutti noi, le Repubbliche adottano frequentemente, nello loro direzioni, un vivere quotidiano che esclude e mette a distanza l'uomo della strada. Nei fatti, questo uomo della strada dovrebbe essere la cause centrale della lotta politica nella vita delle Repubbliche: i governi repubblicano dovrebbero somigliare sempre di più ai loro ripettivi popoli, nella forma di vivere e nel modo di impegnarsi con la vita.
Il fatto è che coltiviamo arcaismi feudali, cortigianerie consentite, facciamo distinzioni gerarchiche che al fondo minano il meglio che le Repubbliche hanno: la voncizione che nessuno sia migliore di un altro. Il gioco di questi e di altri fattori ci trattiene nelle preistoria e, oggi, è impossibile rinunciare alla guerra quando la politica fallisce, va in malora. Così si strozza l'economia, disipiamo le nostre risorse.

Due milioni al minuto
Ascoltate bene, cari amici: in ogni minuto del mondo, su questa terra, si investono due milioni di dollari in spese militari. Due milioni di dollari al minuto nei bilanci militari! La ricerca medica su tutte le malattie, pur essendo enormemente avanzata e costituendo una benedizione per la proemssa di vivere alcuni anni in più, copre appena la quinta parte della ricerca militare.
Un tale processo, dal quale non riusciamo ad usicre, è cieco. Assicura odio e fanatismo, sfiducia, è fonte di nuove guerre e anche di sperpero di fortune. So che è molto facile, poeticamente, autocriticarci. Personalmente, credo che sarebbe un'ingenuità prospettare l'esistenza, in questo mondo, di risorse da risparmiare e da poter poi spendere in altre cose utili. Questo sarebbe possibile, ancora una volta, se fossimo capaci di esercitare accordi mondiali e prevenzioni globali di politiche planetarie che ci garantiscano la pace e che diano ai più deboli le garanzie che non hanno.
Allora ci sarebbero enormi risorse per tagliare e porre rimedio alle maggiri vergogne della terra. Ma basti una domanda, in questa umanità, oggi: dove si andrebbe se non esistessero queste garanzie planetarie? Chiunque farebbe mostra di armi che ricordano la sua grandezza, e ce ne stiamo così, perchè non riusciamo a ragionare come specie, a malapena come individui.
Le istituzioni mondiali, soprattutto oggi, vegetano all'ombra consentita dalle dissidenza delle grandi nazioni che, ovviamente, vogliono detenere la loro fetta di potere.

Il compito dell'Onu
Queste bloccano nei fatti l'Onu, che fu creata con una speranza e come un sogno di pace per l'umanità. Ma peggio ancora sarebbe lo sradicamento della democrazia in senso planetario, perchè non siamo uguali, non possiamo essere uguali in questo mondo in cui ci sono i più forti e i più deboli. Pertanto è una democrazia planetaria ferita che sta mozzando la storia di un possibile accordo mondiale di pace, militante, combattivo e che esista davvero.
E, allora, rammendiamo le infermità laddove necessario, dove si presentano, a seconda di come vogliano una o alcune delle grandi potenze. Il più delle volte, noi guardiamo da lontano, non esistiamo.
Amici, io credo che sia molto difficile inventare una forza peggiore del nazionalismo sciovinista delle grandi potenze. La forza che è liberatrice dei deboli, il nazionalismo, un così grande padre dei processi di decolonizzazione, formidabile verso i deboli, si trasforma in uno strumento di oppressione nelle mani dei forti. E badate bene: negli ultimi duecento anni abbiamo avuto esempi di ogni sorta!

Il nostro piccolo esempio
L'Onu, la nostra Onu languisce, si burocratizza per mancanza di potere e di autonomia, di riconoscimento e soprattutto di democrazia verso il mondo più debole che costituisce la maggioranza schiacciante del pianeta.
Faccio un piccolo esempio, piccolissimo. Il nostro Paese ha, in termini assoluti, la maggior quantità di soldati in missione di pace che i Paesi dell'America Latina sparpagliano nel mondo. Siamo lì dove ci chiedono di stare, ma siamo piccoli, deboli. Dove si ripartiscono le risorse e si prendono le decisioni non entriamo neppure per servire il caffè. Nella parte più profonda del nostro cuore esiste un enorme anelito ad aiutare l'uomo ad usicre dalla preistoria. Io dico che l'uomo che vive in un clima di guerra sta nella preistoria, nonostante i molti artefatti che potrà costruire.

Le solitudini della guerra
Fino a quando l'uomo non uscirà da questa preistoria e non archivierà la guerra come  risorsa quando la politica fallisce, questa è la lunga marcia e la sfida che abbiamo davanti a noi. E lo diciamo con cognizione di causa, perchè conosciamo le solitudini della guerra.
Ciò nonostante, questi sogni, queste sfide che sono all'orizzonte, implicano la lotta per un'agenda di accordi mondiali che comincino a governare la nostra storia e a superare passo passo le minacce alla vita. La specie come tale dovrebbe avere un governo per l'umanità che superi l'individualismo e si prodighi per ricreare teste politiche che ricorrano al cammino della scienza e non solo agli interessi immediati che ci stanno governando e affogando.
Parallelamente bisogna comprendere che gli indigenti del mondo non sono dell'Africa o dell'America Latina, sono di tutta l'umanità. Ed essa deve, in quanto tale, globalizzata, propendere a impegnarsi nel loro sviluppo per far si che possano vivere con decenza, autonomamente.
Le risorse necessarie esistono, sono gettate in questo spreco della nostra civiltà che ci depreda

La lampadina elettrica di cento anni
Pochi giorni fa, in California, in una centrale dei vigili del fuono hanno reso omaggio a una lampadina elettrica che è accesa da più di cento anni; accesa da più di cento anni, amici miei! Quanti milioni di dollari ci hanno tirato fuori dalla tasche facendo deliberatamente porcherie perchè la gente compri, e compri, e compri sempre più!
Ma questa globalizzazione, intesa nel senso di guardare a tutto il pianeta e per tutta la vita, significa un cambiamento culturale brutale. E' cio che ci sta richiedendo la storia. Tutta la base materiale ha cambiato e ha fatto vacillare noi uomini, con la nostra cultura. Continuiamo come se non fosse successo nulla e invece di governare la globalizzazione, è essa a governare noi.
Sono più di venti anni che discutiamo l'umile tassa Tobin: impossibile applicarla a livello planetario. Tutte le banche del potere finanziario si sollevano ferite nella loro proprietà privata e non so in quante altre cose ancora! Eppure - questo è paradossale - con talento, con lavoro collettivo, con scienza, l'uomo poco a poco è capace di trasformare in verde i deserti.

L'uomo è capace.
L'uomo può portare l'agricoltura al mare. L'uomo può creare vegetali che vivano nell'acqua salata. La forza dell'umanità si concentra nell'essenziale, è incommensurabile. Sono li le più portentose fonti d'energia. Che sappiamo della fotosintesi? Quasi nulla
L'energia del mondo sovrabbonda, se lavoriamo per usarla. E' possibile estirpare alla radice tutta l'indigenza del pianeta, è possibile creare stabilità e sarà possibile alle generazioni a venire, se riusciranno a ragionare come specie e non solo come individui, portare la vita nella galassia e perseguire quel sogno di conqusita che noi esseri umani portiamo nella nostra genetica.
Ma affinchè tutti questi sogni siano possibili, abbiamo bisogno di governare noi stessi o soccomberemo, perchè non siamo capaci di essere all'altezza della cività che di fatto abbiamo sviluppato.
Questo è il nostro dilemma. Non dedichiamoci soltanto a rammendare le conseguenze! Pensiamo alla cause di fondo, alla civiltà dello spreco, alla civiltà dell'usa e getta, perchè quel che si sta buttando via è il tempo della vita umana scialacquato, dissipato in questioni inutili.
Pensate che la vita umana è un miracolo, che siamo vivi per miracolo e nulla vale più della vita.
E che il nostro dovere biologico, al di sopra di tutte le cose, è rispettare la vita e darle impulso, incitarla, averne cura, procrearla e comprendere che la specie è il nostro "noi"

Mujica, Josè, La felicità al potere, Ariccia (RM), Editori Riuniti Int, S.r.l.s., 2014, pp. 105-120

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