martedì 24 aprile 2012

Giovanni Pesce e i GAP di Torino

Gli anni e i decenni passeranno: i giorni duri e sublimi che noi viviamo oggi appariranno lontani, ma generazioni intere si educheranno all'amore per il loro paese, all'amore per la libertà, allo spirito di devozione illimitata per la causa della redenzione umana sull'esempio dei mirabili garibaldini che scrivono oggi, col loro sangue rosso, le più belle pagine della storia italiana (Pesce)

Giovanni Pesce (Visone, 22 febbraio 1918 – Milano, 27 luglio 2007) è stato un comandante partigiano e politico italiano. Aveva solo sei anni, nel 1924, quando con la famiglia, dalla provincia di Alessandria, emigrò in Francia, nella regione mineraria delle Cévennes, ove il padre Riccardo, un operaio antifascista, fu costretto a recarsi per vivere, non trovando più lavoro in Italia. Sin da bimbo aiutava il padre nella piccola vineria che la famiglia aveva aperto a La Grand-Combe, e che era frequentata soprattutto da minatori che il piccolo Jeanu ascoltava parlare della loro dura esistenza. Iniziò prestissimo a lavorare, d’estate, come guardiano di vacche sulle montagne nella vicina regione della Lozère, suo unico compagno un cane, Medoc, che Pesce ricorderà con affettuosa tenerezza sino alla fine dei suoi giorni. Nel 1931 affrontò – non ancora quattordicenne – la dura vita del lavoro in miniera per contribuire al precario bilancio della famiglia. Ben presto prese a frequentare la “Jeunesse communiste”, l’organizzazione giovanile del PCF, il Partito Comunista Francese. Nel 1935 aderì al Partito Comunista d’Italia e, nel 1936, in febbraio, si recò in gita a Nîmes con gli amici e, più tardi, per festeggiare la vittoria elettorale del Fronte Popolare, a Parigi, ove visitò la sede del giornale del PCF, L’Humanité, che da giovane minatore comunista diffondeva ogni domenica alla Grand-Combe. Qui raccolse i volantini a favore del governo repubblicano spagnolo firmati ed illustrati da Joan Miró e ascoltò l’appello della Pasionaria, Dolores Ibárruri, ad arruolarsi nelle Brigate Internazionali per prendere parte alla guerra civile di Spagna. Pesce, ingannata la madre Maria con il pretesto di recarsi al confine belga per incontrare una ragazza, si arruolò e si recò in Spagna insieme a numerosi altri giovani antifascisti d’origine italiana che aderirono alla Brigata Garibaldi alla parola d’ordine “Oggi in Spagna, domani in Italia” dei fratelli Nello e Carlo Rosselli, assassinati il 9 giugno 1937 da sicari fascisti inviati dal governo Mussolini. n risposta all’aggressione fascista condotta dalle falangi di Francisco Franco contro il regime repubblicano spagnolo, con il forte sostegno militare, in termini di uomini e mezzi dell’Italia fascista e della Germania nazista, si vennero formando, a partire dall’ottobre del 1936 formazioni armate di volontari a sostegno della Repubblica di Spagna, le “Brigate Internazionali”. Costituite soprattutto da antifascisti provenienti dalle Americhe e da tutt’Europa, giunsero a contare circa 40.000 uomini di ben 70 nazionalità diverse, con prevalenza di francesi, italiani e tedeschi, animati non solo da spirito di solidarietà verso i repubblicani spagnoli, ma anche dalla speranza di porre un freno all’espansione del fenomeno fascista anche nei propri Paesi d’origine. Pesce, tra i primi a giungere in Spagna, come gli altri volontari fu, una volta giunto sul posto, aggregato ai volontari italiani organizzati nella “Brigata Garibaldi”, costituita ad Albacete nel novembre del 1936, sebbene – causa il forzato esilio della famiglia d’origine sin dalla sua più tenera età – fosse nel frattempo divenuto quasi madre lingua francese. Il suo primo impiego in battaglia si ebbe il 17 dicembre nei pressi di Madrid, a Boadilla del Monte. Impegnato spesso in prima linea durante tutta la durata dell’impiego delle Brigate Internazionali nel conflitto, rimase più volte ferito in combattimento (riportandone lesioni anche serie e rose di schegge mai rimosse dalle sue carni), prima a Brunete, quindi due volte presso Saragozza e in occasione dell’offensiva sul fiume Ebro. Sul finire del 1938 la Repubblica congedò le Brigate internazionali e di lì a pochi mesi crollò. Il 1 aprile 1939, Franco annunciò la fine della guerra e l’inizio di una dittatura di stampo fascista, il Franchismo, conclusasi solo con la sua morte, il 20 novembre 1975. Si avverava così la profezia di Dolores Ibárruri, che in un celebre discorso ascoltato dal giovane Giovanni Pesce, aveva previsto che, in caso di vittoria di Franco e del fascismo, “un torrente di sangue avrebbe travolto l’intera Europa”, come purtroppo avvenne esattamente cinque mesi dopo la vittoria franchista: il 1 settembre 1939 scoppiava, per iniziativa di Adolf Hitler, la seconda guerra mondiale. Lasciata la Spagna e poi la Francia, Pesce rientrò in Italia nel 1940 ma fu subito arrestato e inviato al confino sull’isola di Ventotene, ove conobbe alcuni tra i massimi rappresentanti politici dell’antifascismo italiano, come lui ristretti nell’isola dal regime fascista. Liberato nell’agosto del 1943, si unì alle prime formazioni partigiane e fu tra i fondatori dei GAP di Torino

Chi furono i gappisti? Potremmo dire che furono "commandos". Ma questo termine non è esatto. Essi furono qualcosa di più e di diverso di semplici "commandos". Furono gruppi di patrioti che non diedero mai "tregua" al nemico: lo colpirono sempre, in ogni circostanza, di giorno e di notte, nelle strade delle città e nel cuore dei suoi fortilizi... Sono coloro che dopo l'8 settembre ruppero con l'attendismo e scesero nelle strade a dare battaglia, iniziarono una lotta dura, spietata, senza tregua contro i nazisti che ci avevano portato la guerra in casa e contro i fascisti che avevano ceduto la patria all'invasore, per conservare qualche briciola di potere. Gli episodi più straordinari e meno conosciuti di questa lotta si svolsero nelle grandi città, dove il gappista lottava solo e braccato contro forze schiaccianti e implacabili; sono coloro che colpirono subito i nazisti sfatando il mito della loro supremazia e ricreando fiducia negli incerti e nei titubanti i quali ripresero le armi in pugno (Pesce)

Qui svolse, con il nome di battaglia “Ivaldi”, numerose azioni di sabotaggio contro l’occupante nazifascista e uccise diversi esponenti del regime fascista, spie e collaborazionisti, tra i quali il maresciallo della Milizia e amico personale di Benito Mussolini Aldo Mores, e il giornalista fascista Ather Capelli (31 marzo 1944). A Torino ebbe anche luogo, il 18 maggio 1944, il sacrificio eroico di Dante Di Nanni, membro del GAP comandato da Pesce, subito dopo l’attentato contro la stazione radio dell’Eiar che disturbava le trasmissioni di Radio Londra.

Ora tirano dalla strada, dal campanile e dalle case più lontane. Gli sono addosso, non gli lasciano scampo. Di Nanni toglie di tasca l'ultima cartuccia, la innesta nel caricatore e arma il carrello. Il modo migliore di finirla sarebbe di appoggiare la canna del mitra sotto il mento, tirando il grilletto poi con il pollice. Forse a Di Nanni sembra una cosa ridicola; da ufficiale di carriera. E mentre attorno continuano a sparare, si rovescia di nuovo sul ventre, punta il mitra al campanile e attende, al riparo dei colpi. Quando viene il momento mira con cura, come fosse a una gara di tiro. L'ultimo fascista cade fulminato col colpo. Adesso non c'è più niente da fare: allora Di Nanni afferra le sbarre della ringhiera e con uno sforzo disperato si leva in piedi aspettando la raffica. Gli spari invece cessano sul tetto, nella strada, dalle finestre delle case, si vedono apparire uno alla volta fascisti e tedeschi. Guardano il gappista che li aveva decimati e messi in fuga. Incerti e sconcertati, guardano il ragazzo coperto di sangue che li ha battuti. E non sparano. È in quell'attimo che Di Nanni si appoggia in avanti, premendo il ventre alla ringhiera e saluta col pugno alzato. Poi si getta di schianto con le braccia aperte nella strada stretta, piena di silenzio (Pesce)

In seguito a questi ultimi drammatici avvenimenti, nel mese di maggio 1944 Giovanni Pesce si trasferì a Milano, dove riorganizzò la formazione locale, la III Brigata GAP “Rubini”, prendendone il comando col nome di battaglia di “Visone”. Tra le sue azioni a Milano, è da ricordare l’esecuzione del colonnello della Milizia Cesarini, dirigente fascista della fabbrica aeronautica Caproni (15 marzo 1945). Qui Giovanni Pesce operò con la staffetta partigiana “Sandra”, Nori Brambilla, che dopo la Liberazione, il 14 luglio 1945, divenne sua moglie. Dopo la seconda guerra mondiale è stato consigliere comunale a Milano nelle file del Partito Comunista Italiano, dal 1951 al 1964, e consigliere nazionale dell’ANPI fin dalla fondazione. Nel 1991 entrò nel Partito della Rifondazione Comunista, continuando sino alla fine la sua attività politica e di testimonianza sulla Resistenza e i suoi valori. Per le sue attività nella Resistenza italiana, il 23 aprile 1947 è stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare per decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi. Un’iniziativa per nominare Giovanni Pesce Senatore a Vita ha raccolto 2450 firme fino al 26 luglio 2007, e continua a ricevere firme come omaggio postumo alla figura del “Comandante Visone”.

Nella nostra biblioteca popolare Karl Marx potete trovare "Senza Tregua - La guerra dei Gap" di Pesce.

Nel settantacinquesimo anniversario della morte di Guido Picelli, pubblichiamo un breve filmato inedito con Giovanni Pesce, volontario nelle Brigate Internazionali in Spagna, successivamente comandante partigiano dei GAP e delle Brigate Garibaldi, decorato con la Medaglia d'oro al V.M. per le coraggiose azioni compiute nella Resistenza. Nel 2007 Pesce raccontò in questo filmato di Guido Picelli, il suo primo comandante nel Battaglione Garibaldi in Spagna.


Brigata Garibaldi
Garibaldi, brigate d'assalto, tu che sorgi dall'italo cuore, per la patria, la fede e l'onore contro chi maledetto tradì. Partigiano di tutte le valli, pronto il mitra, le bombe e cammina; la tua patria travolta in rovina, la tua patria non deve morir. Giù dai monti discendi alle valli se il nemico distrugge il tuo tetto; partigiano, impugna il moschetto, partigiano non devi morir.

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