giovedì 19 gennaio 2012

Sempre più soli

Voglio chiedere scusa ai miei tre lettori. Tempo fa scrissi su questo stesso giornale una cronaca che intitolai Un azzurro per Marte. Era una piccola utopia, un breve esercizio della fantasia – ma era anche un amarocolpo d’occhio sui materiali che costituiscono ciò che chiamiamo civiltà terrestre.
Alla fine, il Pianeta Rosso, quello dei misteriosi canali che ha ispirato a Bradbury le terribiliCronache marziane, sembra morto, come la luna. Lo dicono le fotografie: quei crateri sono diventati per noi sinonimo di aridità, di desolazione, di abbandono.
Speriamo che soffi almeno un po’ di vento perché il pianeta non sia così solo. Soli siamo noi, a quanto pare. Il sistema solare non ci offre ormai grandi speranze. Giove è molle, fluido, non ha consistenza per sopportare i duri passi dell’uomo; su Saturno la temperatura si aggira sui centocinquantagradi sotto zero, ci sono metano e ammoniaca, gas non certo consigliabili ai polmoni umani; su Mercurio il piombo sarebbe sempre fuso sulla faccia rivolta al sole; Urano e Nettuno sono talmente freddi che i gas comuni si potranno trovare solo allo stato liquido; di Plutone basti dire che è di quattromila milioni e mezzo di chilometri la distanza minima che lo separad al sole; anche da Venere sembra che non ci sia da aspettarsi molto; e Marte è la nostra più recente delusione.
Sicché siamo soli. Attorno al sole si muove una corona di pianeti la cui unica pietra preziosa – smeraldo, rubino, diamante – è la terra. Il resto sono polveri, fornaci, vortici di ghiaccio. E qui, dove la vita è stata possibile (purcon polveri, qualche fornace, ghiaccio a sufficienza), non troviamo niente di meglio che inventare procedimenti per eguagliare in aridità, desolazione e abbandono i pianeti che ci accompagnano. E siamo tanto impegnati in questo che ormai non ci è impossibile aprire pozzi atomici, in obbedienza allo stile paesaggistico della luna, e ora di Marte: una sorta di orografico luogo comune: il cratere. Da questo mio modesto buco (mi perdoni il lettore, ma tutto è buchi, pozzi, crateri) credo che dovremmo ripensare a quel che stiamo facendo. Va bene divertirsi, andare al mare, alle feste, allo stadio, questa vita dura di giorni, l’ultimo chiuda la porta – ma se non ci decidiamo a guardare il mondo seriamente, con occhi severi e giudicanti, la cosa più certa è che avremo un giorno solo da vivere, che lasceremo la porta aperta su un vuoto infinito di morte, oscurità e fallimento. Accettiamo di essere soli. Accettiamolo senza disperazione. Da questa parte della galassia, in un insignificante sistema solare, ecco la nostra patria. La popolano tre miliardi di persone, altrettanti satelliti vivi che forse non potrebbero sussistere fuori di essa. Accettiamo allora di essere soli e a partire da qui facciamo la nuova scoperta di essere invece accompagnati –gli uni dagli altri. Quando volgeremo gli occhi al cielo stellato, con la furiosa voglia di arrivarci, anche se solo per trovare quel che non è per noi, anche se dovremo rassegnarci all’umile certezza che in molti casi non basterà una vita per fare il viaggio – quando volgeremo gli occhi al cielo, ripeto, non dimentichiamo che i nostri piedi poggiano sulla terra e che è su questa terra che il destino dell’uomo (questo nodo misterioso che vogliamo sciogliere) deve compiersi. Per una semplice questione di umanità.

José Saramago

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