sabato 15 febbraio 2014

Fronte Popolare, idee e analisi per il comunismo

Il sito Fronte Popolare si basa sul contributo volontario di compagni militanti del Partito della Rifondazione Comunista. Il sito non è legato ad alcuna area organizzata del Partito, né intende contribuire a costituirne una nuova. Fronte Popolare intende tuttavia aprirsi anche a contributi esterni al PRC, proponendosi come strumento di confronto tra i militanti del nostro Partito e il complesso della sinistra di classe.
Qui sotto potete leggere l'intervista alla parte più sana di quel che rimane della Rifondazione Comunista.

1) Fronte popolare. Idee e analisi per la Rifondazione Comunista.
Il vostro obiettivo è quello "di contribuire alla riunificazione di Rifondazione sulla base di una comune, rinnovata cultura politica e impostazione teorica".
Chi siete e cosa volete costruire? E come fare per collaborare  alla vostra giusta causa?

Il nostro è un gruppo di giovani militanti del PRC di Milano, attivi in particolare nel movimento universitario. Fronte Popolare è nato dalla nostra esigenza di far valere le ragioni del patrimonio teorico e politico marxista-leninista nel dibattito sulla "rifondazione comunista".
Questa parola d'ordine, quella appunto della "rifondazione comunista", è alla base della nostra riflessione e la sentiamo come totalmente nostra malgrado l'uso distorto che ne è stato fatto negli anni dai gruppi dirigenti del nostro Partito. Si è voluto far coincidere "rifondazione" con "abiura" e "liquidazione", attraverso fasi successive di vero e proprio furore iconoclasta che ha liquidato, nell'analisi del Partito, tutti i capisaldi della teoria rivoluzionaria: il bertinottismo ha rigettato categorie come quella di "imperialismo", "avanguardia", "egemonia". Lo statuto del PRC fa riferimento non al "marxismo" (meno che mai al leninismo), ma al "pensiero di Carlo Marx", negando di fatto tutto l'immenso patrimonio rappresentato dall'elaborazione successiva della teoria rivoluzionaria a livello internazionale.
Noi pensiamo invece che il problema della "rifondazione comunista" si ponga nei termini della costruzione di una cultura politica e teorica per i comunisti italiani del XXI secolo che faccia i conti criticamente innanzitutto con il processo degenerativo che ha portato allo scioglimento del PCI, e che concepisca il complesso della storia del comunismo del XX secolo come un gigantesco "processo di apprendimento" con gli errori commessi durante il quale confrontarsi, facendolo però preliminarmente proprio e senza rinunciare a rivendicarlo per intero.
Naturalmente da comunisti questo non ci basta. All'elaborazione concettuale e teorica va affiancato un incessante lavoro militante nei luoghi del conflitto che serve non soltanto per ampliare l'influenza sociale della prospettiva rivoluzionaria oggi ai minimi storici, ma anche (persino soprattutto, in questa fase) ad alimentare la nostra comprensione della realtà con sempre nuovi elementi tratti dall'esperienza. Per questo motivo, legato alla nostra adesione al socialismo scientifico, rifiutiamo di limitarci allo "studio" e vogliamo fare politica nel senso più pieno del termine.
Riteniamo che il PRC, malgrado le contraddizioni che in questo momento ne mettono a rischio la stessa esistenza, rimanga per le sue dimensioni e per la sua riconoscibilità nella società lo spazio più agibile a questo fine. Ma stiamo nel PRC e lavoriamo politicamente sotto le sue insegne da marxisti-leninisti, il che implica una contraddizione profonda con la linea impressa al Partito dal gruppo dirigente e con la deriva che lo ha portato a non rappresentare più gli interessi delle classi lavoratrici. Quindi il nostro messaggio ai compagni è da un lato un'esortazione al lavoro politico concreto tra le masse, dall'altro un invito a costruire luoghi di elaborazione e di scambio di analisi ed esperienze che non restino confinati alla virtualità (il sito di Fronte Popolare è un nostro contributo in questo senso, ma non può e non pretende di essere esaustivo), ma si estendano a livello nazionale mettendo in comunicazione tutte le esperienze di lavoro e le sensibilità orientate a restituire ai comunisti il loro ruolo autonomo e organizzato di avanguardia trasformatrice dell'esistente.


2) Il IX congresso di Rifondazione Comunista è finito, probabilmente, nel peggior modo possibile. Una rottura completa del partito, con un segretario e una segreteria di minoranza. Un partito dell'1% che, da anni, chiede l'unità della sinistra, ma che non è neanche in grado di eleggere un segretario con una solida maggioranza, che credibilità può avere?

La credibilità il nostro Partito se l'è giocata da tempo, tradendo al governo gli interessi sociali che avrebbe dovuto rappresentare. Siamo stati cooptati come forza compatibile con il sistema e questo ci ha portati a un passo dall'estinzione. Abbiamo assimilato elementi preponderanti dell'egemonia delle classi dominanti a livello sociale e questo ha condotto a una mutazione genetica che ha allontanato compagni con anche nobili storie di lotta alle spalle da una concezione rivoluzionaria della lotta politica. Il congresso di Perugia è stato dunque l'epilogo di un processo lungo e l'apice dell'interiorizzazione della prassi aziendalista nella gestione del Partito. Perché la guerra per bande, la disattenzione ai contenuti politici, la logica della fedeltà ai capi bastone questo è: la traduzione nella dialettica del Partito delle logiche aziendaliste che ispirano la politica italiana di oggi.
Il problema per i comunisti è dunque ora come recuperare la loro credibilità perduta, e si tratta di un problema che s'intreccia con quello dei rapporti di forza nella società e con il regresso della nostra influenza sociale: come recuperare credibilità e autorevolezza presso masse con le quali nemmeno arriviamo a comunicare? La risposta è che non ci sono scorciatoie: ci aspetta un'opera difficile nello spazio della residualità, a partire da dove siamo radicati, per riconquistare con il lavoro politico, militante per militante, il rispetto e la fiducia dei lavoratori. Questo però presuppone la soluzione di alcuni nodi politici. Come si sta nel sindacato? Come si lavora sul territorio? Come si ricostruiscono intorno ai comunisti brandelli di quella socialità umana che il neocapitalismo sistematicamente distrugge per isolarci tutti e ridurci individualmente all'impotenza? Vi è poi un ulteriore problema: quello dell'unità tra lotta politica e moralità comunista. Per essere riconosciuti come forza di alternativa e riconquistare autorevolezza dobbiamo sviluppare tra di noi, nei rapporti al nostro interno, quei valori di unità, solidarietà e fratellanza che vogliamo affermare come fondamento della società socialista da costruire. E tutto questo va proiettato all'esterno con l'esempio personale e collettivo che i comunisti devono offrire nella vita di tutti i giorni. Rettitudine, impegno, altruismo, abnegazione, rigore intellettuale e coerenza costituiscono i fondamenti di quella morale rivoluzionaria che deve essere riconosciuta come più avanzata, superiore, da strati ampi della società che ci circonda. Ciò fa parte integrante della forza rivoluzionaria dei comunisti ed è proprio quello che abbiamo perduto. Veniamo percepiti come uguali agli altri, e a noi in particolare questo non verrà mai perdonato.
È lecito chiedersi, a questo proposito, quali spazi di recupero rimangano in un Partito che offre il penoso spettacolo cui abbiamo assistito in occasione del congresso di Perugia. Noi però non ci arrendiamo e lottiamo per praticare ogni giorno, a partire dal nostro circolo e dalla partecipazione alla vita sociale, quella morale comunista alla cui riaffermazione vogliamo contribuire.


3) Il PRC è un piccolo partito ormai paralizzato dalle correnti. L'ala ferreriana, anche se di minoranza, ha preso tutto il partito, anche se nessuno ha capito per farci cosa. L'ala grassiana vive in maniera autonoma e continua il suo avvicinamento a Vendola cercando l'unità con Migliore e Fava. Falce & Martello, oggi più che mai, è un corpo estraneo al partito. I compagni del terzo documento sono disuniti, confusi e probabilmente pagano il fatto di non essere una corrente con una finalità chiara se non quella di salvaguardare Rifondazione. Tutti i partiti(ni) comunisti italiani provengono da ulteriori correnti passate del PRC. Come uscirne? Tanti i tentativi, spesso contrastanti, di ricostruire il partito comunista o una sinistra di classe. C'è ross@, c'è Comincia Adesso, c'è il coordinamento della sinistra contro l'euro, c'è un nuovo partito comunista (quello di Rizzo). Ognuno tenta una via diversa per ricostruire ciò che abbiamo perduto.
Qual è il vostro?

È essenziale ripartire dall'unità tra teoria e prassi. Innanzitutto dobbiamo sciogliere i nodi teorici e politici di fondo e parlare tra di noi chiaramente, magari anche sacrificando all'obiettivo strategico qualche posizione tattica. Un esempio? Noi siamo stati fino ad ora tra i pochissimi, dentro il Partito ma non solo, a proporre nel dibattito sulle Europee una posizione di contestazione alla lista Tsipras fondata sul rifiuto dell'europeismo come elemento ideologico borghese intrinsecamente incompatibile con la realtà della lotta di classe a livello nazionale da un lato e con la prospettiva internazionalista dall'altro. Crediamo che questi nodi strategici vadano sciolti con coraggio e che non debbano essere oggetto di mediazioni "diplomatiche".
Tutto questo poi va tradotto in azione politica concreta, tenendo ben presente che stare nel Partito, seppure criticamente, richiede una misura di disciplina indispensabile per conferire autorevolezza a quanto proponiamo. In questo senso noi rifiutiamo di rinchiuderci nello steccato di una corrente, perché vogliamo rivolgerci a tutto il Partito, e facciamo vivere nella nostra realtà territoriale la nostra impostazione con un lavoro politico propositivo che ci viene generalmente riconosciuto. Non è un caso che il circolo interuniversitario fondato da noi sia, qui a Milano, il primo nuovo circolo varato da molto tempo in qua.


4) L'internazionalismo è da sempre, il punto dolente della Rifondazione Comunista. Il partito sta ignorando quello che sta accadendo in Ucraina, ma è impegnato a 360 gradi sulla lista elettorale per le europee. Ferrero fa il padrone di minoranza dentro il partito, ma poi fuori da esso si sottomette ripetutamente agli intellettuali della società civile: dopo Rivoluzione Civile ora tocca alla lista Tsipras. Come giudicate il documento della sinistra europea, la figura di Tsipras e la costruzione della lista italiana avanzata dalla società civile? Alternative?

Come noto a chi segue il nostro sito, abbiamo dedicato ampio spazio a una critica di fondo alla concezione ideologica alla base della lista Tsipras. Riteniamo che la posizione del Partito in merito discenda direttamente dalla liquidazione della teoria dell'imperialismo e dalla conseguente distorsione del concetto di internazionalismo. In sostanza si è persa la consapevolezza che il punto di partenza di ogni processo di trasformazione è sempre nazionale, perché nazionali sono le condizioni di sviluppo della classe operaia e necessariamente nazionale è il terreno della lotta per il potere politico. Si è voluta teorizzare la possibilità di un livellamento verso l'alto dei diritti nel quadro europeo, ma la realtà è che lo sviluppo diseguale delle forze produttive tra i vari paesi, la differenza di potenziale conflittuale tra le diverse società nazionali e il differente grado di sviluppo della coscienza e dell'organizzazione di classe rendono impossibile far assumere alle lotte sociali la stessa intensità in tutto il continente. Viceversa, con il processo di concentrazione del capitale e la gerarchia che ne consegue, il nostro nemico di classe trova un terreno ideale nello spazio europeo per affermare i propri interessi. L'unità dell'Europa è infatti da sempre uno dei cavalli di battaglia della reazione e la stessa integrazione della socialdemocrazia tra i leali gestori degli affari della borghesia monopolistica à passata all'inizio del XX secolo attraverso la teorizzazione, ad opera del dirigente socialdemocratico tedesco Karl Kautsky, di un "ultraimperialismo" europeo che avrebbe diluito i conflitti a livello continentale portando pace e prosperità ai popoli. La crisi ci offre oggi la possibilità di fare giustizia di questo inganno ideologico ed è gravissimo che si stia rispondendo teorizzando un federalismo europeo "buono" contro la UE "cattiva" della Trojka e proponendo un "new deal" europeo proprio quando l'esplosione del debito pubblico rende impossibile ogni soluzione di mezzo, keynesiana. Queste sono le criticità di fondo della lista Tsipras e non stupisce affatto che su questa base si siano raccolti intorno ad essa tutti i vecchi pennivendoli della "sinistrina" anticomunista. E perché non dovrebbero aderire, visto che la lista Tsipras non solo non mette in discussione lo stato di cose presente, ma fa tutto il contrario e contribuisce oggettivamente al suo rafforzamento?
Occorre a questo punto una precisazione: noi non rifiutiamo la tattica né neghiamo il problema della transizione dal capitalismo al socialismo come fanno, commettendo un errore imperdonabile, i compagni del Partito comunista greco. Ma diciamo che il Partito si sta muovendo in una prospettiva strategica dannosa per gli interessi delle classi lavoratrici e che, conseguentemente, la sua tattica non può essere corretta.
Pensiamo che si debba lavorare innanzitutto per la ricostruzione di una solida prospettiva comunista che operi sul piano nazionale attraverso l'individuazione di una politica "patriottica e di sinistra", come dicono i compagni portoghesi del PCP, per restituire la sovranità al popolo italiano e avanzare, tramite l'attuazione della Costituzione repubblicana (non a caso attaccata nella sua ispirazione antifascista da un documento pubblicato l'estate scorsa dalla banca d'affari americana JPMorgan), verso un nuovo ordinamento economico e sociale. Questo lavoro deve essere poi offerto come il contributo dei comunisti italiani a una lotta comune e coordinata della sinistra di classe europea contro l'UE, la BCE e gli interessi che esse rappresentano. Infine occorre sviluppare una politica autenticamente internazionalista e antimperialista, ricostruendo il movimento contro la guerra in difesa dei popoli aggrediti dall'imperialismo atlantico (a cominciare da quello siriano).


5) Ricostruire un partito comunista, agendo dall'interno di Rifondazione Comunista, è possibile? Quali sono i punti su cui partire? Come riorganizzare una struttura nazionale, come costruire una formazione interna, ma soprattutto come definire un programma politico coerente sul medio lungo termine con pochi punti, ma chiari?

L'azione all'interno del PRC è più che altro una necessità. Il PRC ha nei fatti raccolto il testimone dei settori critici che si sono opposti allo scioglimento del PCI e quello della cosiddetta "nuova sinistra", occupando uno spazio politico che si allarga o si restringe in funzione principalmente della sua azione. Certamente il congresso di Perugia è stato attraversato dalla questione della liquidazione del Partito in una "SYRIZA all'italiana" e, se questo progetto dovesse andare in porto, tornerà a porsi il problema di come garantire una presenza comunista politicamente e organizzativamente autonoma. Lo spazio politico per una tale presenza esisterà sempre, perché esso risulta dalle contraddizioni strutturali del capitalismo, ma la nostra capacità di occuparlo non è altrettanto scontata. Per questo motivo bisogna sviluppare i contatti tra quanti si muovono su questa linea e organizzare momenti di scambio, studio, elaborazione teorica e di proposte a livello nazionale e locale, coinvolgendo forze interne ed esterne al Partito sulla parola d'ordine della "rifondazione comunista" come descritta all'inizio di questa intervista. In questa fase la difesa di Rifondazione Comunista è una questione centrale, ma se il gruppo dirigente dovesse assumersi la responsabilità di liquidare, apertamente o di fatto, il nostro Partito in un contenitore genericamente antiliberista, deve essere chiaro che la prospettiva comunista non potrà essere liquidata con esso.


6) Torniamo a voi. La collaborazione con Liberazione, la salvaguardia della nostra storia e delle nostre analisi tramite il lato culturale del Fronte Popolare, l'attività universitaria, la promozione dei libri di Nemesis. Oggi quanto è necessario salvaguardare la nostra storia e riappropriarsi della nostra idendità?

Il percorso storico dei comunisti rappresenta, come dicevamo, un processo di apprendimento (felice espressione di Domenico Losurdo): quello attraverso il quale le classi oppresse hanno appreso le forme e i modi della lotta per la loro liberazione. Se si rompe con questo patrimonio ci si nega uno strumento fondamentale per andare avanti. I nostri stessi limiti e lacune come comunisti italiani dipendono dal passato di cui siamo figli e senza il quale non saremmo quello che siamo. Per questo noi rivendichiamo un approccio critico all'esperienza italiana e internazionale del movimento comunista che però non disconosca né butti via nulla. Si tratta piuttosto di svilupparci teoricamente, di elaborare nuove concettualizzazioni a partire da quel processo di apprendimento: siamo eredi del PCI, ma non siamo né mai più saremo il PCI; siamo figli della Terza Internazionale, ma non rinunciamo a criticarne i limiti storici e teorici; assumiamo creativamente il marxismo-leninismo in una declinazione creativa che mai cessa di confrontarsi con i fatti nuovi del mondo e di arricchirsi tramite l'analisi, senza però cadere nel revisionismo opportunista.


7) Dove vanno gli italiani? Girando l'Italia per presentare il libro di Alessio Arena avete avuto l'opportunità di discutere con tanti compagni. Che quadro ne esce fuori? La rassegnazione ha preso il sopravvento o c'è ancora voglia di lottare?

La rassegnazione, ma anche la depoliticizzazione del dibattito interno all'organizzazione del Partito sono fatti con cui fare i conti, come pure la "scissione silenziosa" che ogni anno ne dimezza le forze tramite il disimpegno di migliaia di compagni. Però non siamo ancora alla resa e noi vogliamo contribuire a fare in modo che la resa non venga mai. Dobbiamo tutti quanti, come si diceva, studiare di più, approfondire, capire le ragioni del declino del comunismo italiano per sconfiggere l'idea che esso sia un fatto naturale e ineluttabile. Invece no: ci sono delle ragioni alla base del collasso di questi anni e, se le si corregge, è possibile ricostruire la nostra forza, anche se non ci si deve nascondere che potrebbe volerci del tempo e sicuramente saranno necessari sacrifici sia a livello individuale che collettivo. È pur vero che la crisi sta accelerando moltissimo l'evoluzione degli eventi e una forza comunista consapevole, disciplinata e ben orientata potrebbe riuscire ad affermarsi anche con relativa rapidità. Come al solito, tutto dipenderà da fattori oggettivi e soggettivi, dalla nostra capacità di corrispondere col pensiero e l'azione al susseguirsi degli eventi.


8) L'instancabile lavoro del Fronte Popolare quali obiettivi ha per il 2014?

Essenzialmente due: allargare al di fuori di Milano la redazione del nostro sito, in modo da moltiplicarne la capacità di produrre analisi politica e di corrispondere all'evolversi del dibattito del Partito e della situazione politica e sociale italiana e internazionale, e organizzare almeno un incontro di riflessione e approfondimento che possa avere un rilievo e incidere nel dibattito a livello nazionale. Obiettivi immediati forse non ambiziosi, è vero, ma un lungo cammino è fatto di piccoli passi.



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