martedì 4 novembre 2014

La morte del poeta è la sua vita

La notte stendeva le sue ali sulla città, e la neve la copriva con il suo manto, mentre il freddo spingeva gli uomini a lasciare piazze e mercati per rifugiarsi nelle loro dimore. Il vento si levava sospirando tra le case, come colui che piange un defunto, in piedi tra le tombe.
Alla periferia di quella città c'era una vecchia casa dai muri cadenti, sul punto di crollare sotto il peso della neve. In un angolo di quella casa, su un letto sconnesso, giaceva un uomo in fin di vita, che guardava la fioca luce di una lampada combattere con il buoi. Era un giovane nel fiore degli anni, consapevole della sua imminente liberazione dai ceppi dell'esistenza. Attendeva così l'arrivo della Morte. Sui suoi pallidi lineamenti balenava la luce della speranza e sulle sue labbra si stampava un sorriso triste.
Era un poeta, venuto a rallegrare il cuore degli uomini con le sue incantevoli parole. Ora giaceva, stremato dalla fame, nella città dei vivi e dei ricchi. Uno spirito nobile, disceso per grazie degli dei ad allietare la vita stava per dire addio al nostro mondo prima che l'umanità potesse sorridere a questo spirito.
Stava rendendo l'ultimo respiro e non c'era nessuno al suo fianco all'infuori della lampada, compagna della solitudine, e di pezzi di carta che recavano le immagini del suo spirito gentile. Il giovane moribondo raccolse le sue ultime, languenti forze, levò le mani al cielo e batté le palpebre sfiorite, quasi la sua vista morente volesse spaccare il tetto sì da guardare le stelle al di là delle nuvole. E disse:
"Vieni ora, morte leale, poichè il mio spirito ti anela. Avvicinati e spezza i vincoli della materia, poichè ormai sono stanco di strascinarli. Vieni, dunque, dolce morte, e liberami dagli uomini, che mi considerano uno straniero tra loro perchè parlai la favella degli angeli nella lingua del genere umano. Affrettati, poichè gli uomini mi hanno respinto e mi hanno gettato negli anfratti dell'oblio, perchè non bramavo ricchezza come loro, nè approfittavo di chi era più debole di me. Viene a me, dolce morte, e prendimi, poichè i miei simili non hanno bisogno di me.
Stringimi al tuo petto, che è pieno d'amore; bacia le mie labbra, labbra che non provarono il bacio di una madre, nè sfiorarono la guancia di una sorella, nè assaporarono il bacio di un'innamorata. Affrettati ad abbracciarmi, morte, mia diletta
"
Allora, al capezzale di quel giovane moribondo si presentò l'immagine di una donna di soprannaturale bellezza. Era avvolta in una veste bianca come la neve, con in mano una corono di gigli colti nelle valli del cielo.
Si avvicinò a lui e lo abbraccio, chiudendo i suoi occhi affinchè potesse guardarla con gli occhi dello spirito. Gli baciò le labbra con un bacio d'amore, un bacio che lasciò su quelle labbra un sorriso di appagamento. E in quel momento la capanna si svuotò di ogni cosa, all'infuori della terra e dei pezzi di carta sparsi negli angoli bui.
Passarono gli anni, e quando la gente di quella città si svegliò finalmente dal torpore dell'ignoranza e della stoltezza mirò l'alba della conoscenza, eresse nel centro della città una grande statua al poeta e ogni anno, in un giorno stabilito, lo celebrò. Come sono stolti gli uomini!


 Khalil Gibran

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